venerdì 24 giugno 2011

IL TEMPO DELLA POLITICA

I commentatori politici più accorti hanno chiarito a sufficienza, in questi giorni, la situazione paradossale, e addirittura surreale, che sembra vivere la politica italiana, almeno stando a quanto si dice e fa nelle sedi istituzionali e nelle manifestazioni di partito: partiti di governo che minacciano la secessione, un ministro dell’interno che arringa contro l’Unione europea di cui fino a prova contraria facciamo parte, ricette lassiste per combattere la crisi (che è come suggerire a un ubriaco di superare la sbronza bevendo ancora). In una parola: l’irrealtà dei sogni contro la dura forza dura dei fatti, che alla fine non possono non vendicarsi.
Sono anni che siamo abituati, nel discorso pubblico dei politici (ripreso enfaticamente da media in vario modo ad essi asserviti), all’abbandono del “principio della realtà” e oserei dire di serietà. Oggi, tuttavia, la volontà manifestata da chi sta al vertice di continuare in questa postmoderna politica dell’irrealtà fa una certa impressione: ogni persona di buon senso non può non accorgersi che la “solita manfrina” è ora anche stupida e controproducente. Le “sberle” elettorali subite dal centrodestra hanno declamato (non semplicemente “declarato” , come ha scritto Petruccioli), che gli italiani vogliono ritornare a contare, a partecipare, a fare politica. E non sono disposti, per questo fine, a dare più deleghe in bianco a nessuno, neanche a sinistra. 
Eppure, i leghisti e gli esponenti della maggioranza fingono di non capire. Perché? Delle due, l’una: o Dio, come suol dirsi, acceca chi vuole perdere; oppure questi politici non sanno fare altro che ripetersi perché sostanzialmente sono ignoranti di politica (e forse non solo). In quanto tali, essi non hanno affatto quella capacità e quel fiuto che alcuni commentatori, quando il vento era in poppa, riuscivano a scorgere fino a ieri persino in Bossi (manco fosse un novello Togliatti). 
Delle due tesi, io, si è capito, propendo per la seconda: oggi finalmente viene allo scoperto l’incultura politica e l’incapacità dei leader che hanno tenuto in mano per tanti anni le sorti dell’Italia. Campioni dell’antipolitica quasi tutti, non a caso.
Certo, se la mia tesi avesse un minimo di plausibilità, e credo che ne abbia, varie altre domande sorgono in successione. Perché è potuto accadere questo, cioè il dominio nella società di questi politici? A quali domande si è potuto pensare che potessero dare una risposta questi rozzi “racconta balle” di provincia? Perché persino i ceti borghesi e colti  sono caduti nella trappola? (dell’adesione degli intellettuali propriamente detti invece non mi meraviglio più di tanto: essi sono stati quasi sempre pronti, in Italia, a vendersi al potente di turno!). Perché, e soprattutto, all’antipolitica di destra la sinistra non ha saputo opporre altro che demagogia e antipolitica di sinistra?
Sono convinto che il centrosinistra, se riuscisse a dare una risposta, sia pur parziale e approssimativa, a queste domande, saprebbe forse ritrovare il bandolo della matassa: avrebbe armi non spuntate non solo per ritornare in breve al governo, ma anche e soprattutto per costruire una alternativa politica seria, credibile e non effimera, che non può essere chiaramente quella dei Grillo o dei Vendola. 
Solo pensando con serietà, anche con durezza cioè ma non in modo demagogico e velleitario, al periodo del berlusconismo ora declinante, a ciò che esso ha (e non ha) rappresentato,  sarà forse possibile fare il grande salto che i cittadini sembrano reclamare a gran voce.
CORRADO OCONE

1 commento:

  1. Corrado Ocone mostra in modo assai efficace la penosa saldatura fra la scarsa cultura politica e il senso di realtà deficitario che caratterizzano l'attuale classe di governo.
    Per uscire dall'impasse occorrerebbe pensare con serietà agli ultimi lustri; concordo. Però dubito che oggi la sinistra sia in grado di farlo.

    Danilo Di Matteo

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