Lo diciamo ormai in molti, anche se con accenti diversi: quel che occorre per un’alternativa credibile al berlusconismo morente è una proposta riformista composta da un leader che sia effettivamente tale, una coalizione che regga alle contraddizioni interne, e un coraggioso programma che attinga a quel che è spendibile nel Duemila della tradizione innovatrice liberale e socialista.
L’impresa non è facile, anche se le elezioni amministrative hanno dato nuovo slancio alle speranze riformiste. Roberto D’Alimonte, che rifugge dalle analisi taroccate, segnala nel “Sole-24Ore” del 5 giugno che il centrosinistra è stato sì il vincitore di queste elezioni ma che, a fronte del tracollo del centrodestra ed al lieve calo del centrosinistra, si è verificata una buona crescita del Terzo polo.
Del resto, non credo che vi sia ancora qualcuno che pensi ad un sistema di alternanza democratica fondato essenzialmente su due partiti pigliatutto. Quell’idea, che era rispettabile, non solo è fallita clamorosamente nel centrodestra in via di disgregazione, ma è caduta anche a sinistra dove il Partito democratico difficilmente riesce – e riuscirà - ad attrarre molto più di un quarto degli elettori: sia con questa sciagurata legge elettorale, sia con un eventuale altra legge che combini, bene o male, proporzionale e maggioritario.
Dunque, saranno le coalizioni ad essere protagoniste del prossimo sistema elettorale e politico, quindi del governo del paese che ci auguriamo continui a nascere dalla scelta tra due schieramenti alternativi sottoposti al giudizio degli elettori, e non dal trasformismo parlamentare. Ma a me pare che la disputa se il Partito democratico debba allearsi con Udc e Terzo polo e/o con le forze ala sua sinistra - Sel e Idv -, non sia il maggiore dei problemi dei riformisti.
Quel che manca è una forza che abbia radici nelle migliori tradizioni innovatrici della democrazia liberale e socialista, in grado di raccogliere ed esprimere direttamente nella rappresentanza politica le aspettative di quei milioni di cittadini che in questi anni si sono di volta in volta divisi in tanti rivoli - centrosinistra, centrodestra e terzo polo - e ancora più spesso si sono astenuti, delusi dall’offerta politica trovata sulla scheda.
E’ questo il vero nodo su cui si deciderà il successo dell’alternativa riformista. Nella prima Repubblica questo elettorato, per quanto diviso in più partiti, esprimeva tra un quarto e un quinto del voto popolare. Ed è assai probabile che tale area, insoddisfatta dai due poli, abbia in questi anni alimentato l’astensione, salvo riversarsi su quelle personalità che, in quanto individui e non come etichette partitiche, davano affidabilità come nel caso di Pisapia a Milano.
So bene quanto sia difficile ripartire dal terreno socialista, laico e liberale, che è stato reso tabula rasa per responsabilità propria ed altrui. Ma questa è la scommessa che i riformisti devono oggi affrontare se vogliono realisticamente mettere in piedi una proposta convincente che comprenda non solo il leader e il programma ma anche una coalizione ampia e rappresentativa capace di assorbire quella parte dell’elettorato oscillante che fa la differenza.
MASSIMO TEODORI
Articolo pubblicato da “Il Riformista” l’8 giugno 2011, con il titolo “Proposta riformista: Leader, coalizione, programma”.
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