mercoledì 16 febbraio 2011

SU G.A. COHEN

A poco più di un anno dalla sua morte è difficile scrivere di G.A. Cohen al passato. Pur avendo lasciato per raggiunti limiti di età la cattedra di “Chichele Professor” di “Social and Political Theory” a Oxford che ricopriva dal 1985, Jerry Cohen era ancora in piena attività e uno degli autori più influenti della filosofia politica britannica. Un’intera generazione di studiosi, alcuni dei quali sono oggi a loro volta figure di spicco nella comunità accademica d’oltre Manica, ha mosso i primi passi sotto la sua guida. Si è formata leggendo i suoi lavori e ha imparato da lui come è possibile tenere insieme una profonda passione politica e un grande rispetto per il rigore dell’argomentazione. Nato in Canada da una famiglia di immigrati russi nel 1941, Cohen era arrivato a Oxford negli anni settanta, quando l’università britannica poteva ancora vantare tra i suoi docenti figure come Isaiah Berlin e Gilbert Ryle. Al primo, in particolare, Cohen riconosceva un’importanza centrale nella propria formazione per averlo indirizzato alla studio di Marx, spingendolo a rileggere criticamente il pensiero del filosofo alla luce degli sviluppi più recenti della filosofia analitica. Ne era venuto fuori un libro che ancora oggi viene considerato uno dei contributi più lucidi alla letteratura sul padre del “socialismo scientifico”, Karl Marx’s Theory of History. A Defence, pubblicato nel 1978, che ha inaugurato una stagione di rinnovato interesse per la filosofia politica e sociale di Marx, di cui sono testimonianza, tra gli altri, i lavori di Jon Elster, John Roemer e Jonathan Wolff.
Con il passare del tempo gli interessi di Cohen si erano spostati dall’esegesi di Marx, e dalla difesa del cosiddetto “marxismo analitico”, al dibattito contemporaneo sulla teoria della giustizia. Esemplari rimangono, da questo punto di vista, le sue critiche a Robert Nozick e a John Rawls. Al secondo Cohen aveva dedicato quello che probabilmente è destinato a rimanere il suo libro più importante, Rescuing Justice & Equality, pubblicato nel 2008. Dell’importanza delle obiezioni che egli muoveva alla teoria liberale della giustizia di Rawls, e in particolare al principio di differenza, di cui criticava le conseguenze a suo dire negative dal punto di vista dell’eguaglianza, sono testimonianza ben tre volumi pubblicati negli ultimi anni, uno dei quali in italiano, che raccolgono contributi di buona parte dei più importanti filosofi della politica contemporanei.
Quando è stato colpito dall’ictus che in poche ore ne ha causato la morte, Jerry aveva appena dato alle stampe il suo ultimo lavoro, Why Not Socialism?, un breve saggio che presenta una serrata difesa del socialismo come modello di cooperazione sociale che, pur essendo difficile da realizzare, è moralmente più attraente delle alternative basate sull’accettazione del perseguimento dell’interesse personale come motivazione principale dell’agire umano. Un esempio di come sia possibile fare filosofia politica in modo accessibile a tutti, senza fingere che le cose siano più semplici di quel che sono, e senza indulgere nel tono oracolare in voga tra certi critici contemporanei del mercato e delle teorie liberali della giustizia. Prossimamente Mondoperaio ospiterà una discussione del pensiero di Cohen in occasione della pubblicazione (per Ponte alle Grazie) della traduzione italiana di questo libretto.

MARIO RICCIARDI

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