Quasi cinquant'anni fa, nel 1966, tirava una brutta aria nei rapporti fra i sindacati dei lavoratori. L'anno prima, quando il Parlamento aveva votato sul piano Pieraccini (prima conseguenza della "programmazione democratica" voluta dal centro sinistra di allora), Fernando Santi aveva ottenuto che i parlamentari della Cgil (allora non c'era l'incompatibilità), socialisti o comunisti che fossero, si astenessero. Ma subito dopo i comunisti della Cgil scatenarono rivendicazioni tali da far traballare il già precario equilibrio che si era raggiunto fra PSI e DC, e soprattutto i conti pubblici.
In vista dell'unificazione fra PSI e PSDI, poi, il segretario generale della Uil, Italo Viglianesi, aveva proposto la creazione di un sindacato socialista che si affiancasse a Cisl e Cgil, lasciate alla mercè, rispettivamente, della DC e del PCI.
Il disegno aveva una sua logica, se si accettava l'idea leninista del sindacato come "cinghia di trasmissione" del partito. E ce l'aveva anche se non si accettava quell'idea, se si considerava che adessa comunque si ispiravano i comunisti della Cgil nella loro azione antiriformista.
Dall'impasse si uscì grazie al coraggio e alla lungimiranza di un quarto interlocutore, che non rappresentava un'organizzazione sindacale, ma aveva i piedi ben piantati nel movimento operaio. Si trattava di Livio Labor, allora presidente delle Acli, che offrì a "tutti gli uomini di buona volontà" delle tre organizzazioni una piattaforma più avanzata, fondata sull'autonomia del sindacato, sulla conseguente incompatibilità fra cariche politiche e cariche sindacali, e su una politica rivendicativa più moderna, sul modello di quella che allora andava elaborando Gino Giugni, della quale i lettori di Mondoperaio troveranno una sintesi nel numero che sta per uscire.
Fu così che Fernando Santi e Baldassarre Armato, Vittorio Foa e Luigi Macario, Giorgio Benvenuto e Bruno Trentin, Pierre Carniti ed Enzo Mattina, con la benedizione di Carlo Donat Cattin, di Riccardo Lombardi e di Pietro Ingrao, crearono le condizioni per una stagione ricca di risultati per i lavoratori.
Chi si chiede quale sia il senso dell'iniziativa che Mondoperaio ha organizzato insieme con la Fondazione Buozzi e l'Associazione Nuovi Lavori per mercoledì prossimo deve avere presente quel precedente. Anche ora, nei rapporti fra i sindacati, tira un'aria bruttissima. Anche ora, tuttavia, nei sindacati ci sono tanti uomini di buona volontà. Ed anche ora c'è bisogno che qualcuno, fuori dai sindacati ma dentro il mondo del lavoro, indichi una piattaforma più avanzata per superare l'impasse.
LUIGI COVATTA
L'autonomia sindacale era minacciata quando c'era il collateralismo coi partiti. Adesso, col bipolarismo, i sindacati sono quasi costretti ad essere autonomi. Mi preoccuperei piuttosto dell'unità.
RispondiEliminaL'unità sindacale è la condizione dell'autonomia. Ma se non si discute delle questioni aperte e si pensa solo agli schieramenti, addio unità e addio autonomia.
RispondiEliminaUnità sindacale e un nuovo progetto per il mondo del lavoro, devono essere due pilastri di un moderno partito socialista. roberto romagnoli
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