martedì 24 maggio 2011

MILANO METAFORA DI NUOVI EQUILIBRI POLITICI NEL PAESE?

Milano, 23 maggio 2011 - Ritorno ai lettori di Mondoperaio e del suo blog, dopo aver scritto qui un’analisi degli scenari del voto a Milano quaranta giorni prima del voto al primo turno.
E ci torno oggi, quattro giorni prima del ballottaggio. Molte incertezze si sono chiarite all’interno di due evidenze: Letizia Moratti – anche per inconsistenza politica propria – ha ceduto allo stravolgimento della sua campagna che avrebbe potuto, per lei più fruttuosamente, stare sul terreno dello stile e della rendicontazione (terreno in cui la propaganda è abile a non sembrare tale); Giuliano Pisapia – anche per consistenza di intuizione, di staff e di tenuta psicologica e relazionale – ha aggregato il bisogno di “normalità” di una città come Milano e al tempo stesso il bisogno di cambiamento “ragionevole” ovvero di controllo di politiche e di apparati, di buona indipendenza dai partiti e di capacità di ascolto.
Quelle incertezze sono state colmate dal sentimento civico diffuso e dall’opinione “in proprio” di elettori che hanno fatto i conti con la realtà. Nel quadro del ballottaggio ciò è evidente rispetto al profilo impacciato di un Terzo polo che – come avevamo detto – sotto il 6% qui non riesce ad essere soggetto politico, perdendo l’occasione di diventare – non solo elettoralmente - ma anche politicamente parte di una vasta alleanza capace di allargare l’ambito in cui fare del sindaco un nuovo baricentro.
E’ così l’iniziativa civica – quella stimolata da Piero Bassetti a cui alcuni di noi hanno dato un contributo – a svolgere ora, in questi giorni a tempo pieno,  una funzione di raccordo e quindi a promuovere non le operazioni astratte di cartelli antiberlusconiani di palazzo, ma l’accoglienza di tanti frammenti e realtà che hanno mantenuto una loro identità culturale e politica in crescente disagio rispetto all’antipolitica crescente della destra.
La serata al Circolo De Amicis, programmata il 24 maggio, per fare incontrare il gruppo di progetto di “Iniziativa per il 51 e molti esponenti (laici e cattolici, socialisti e liberali, di nuova destra costituzionale o di più antica sinistra libertaria), segna dunque un approdo nel corso di una campagna altrove dominata dagli insulti, qui e in tanti settori del consenso a Giuliano Pisapia dominata dal fervore, dalla proposta, dal ritorno alla partecipazione.
Dai media oggi si colgono dunque segnali interessanti.
  • Scrive Pier Luigi Battista sul Corriere della Sera che la campagna elettorale a Milano – che ormai è scelta dai media e anche, per qualcuno che teme il palazzo romano a malincuore, dal sistema politico italiano come metafora dei nuovi equilibri negli orientamenti politici del paese – segna la trasformazione antropologica del centro-destra. Da antico posizionamento liberale a cettolaqualunque.
  • L’editoriale della Stampa, sempre di oggi, a firma di Luigi La Spina, si affianca a quell’idea, portando lo sguardo di Torino un po’ esterno alle cose milanesi; e mette infatti i punti esclamativi a questa lettura. Facendo a pezzi ogni possibilità della linea Moratti di riprendere eventualmente qualche contenuto razionale per salvare il salvabile. Aspettiamo un altro editoriale da La Spina per rivedere la sua idea che Pisapia vinca solo per colpa della Moratti, non facendo per ora lo sforzo necessario per vedere in Giuliano Pisapia – argomento non banale nella vicenda della sinistra italiana - le ragioni di tenuta della sua coalizione e  la capacità di costruzione di un baricentro responsabile della sua campagna e della sua proposta.
  • La pagina domenicale della Repubblica ha poi fatto uscire dal riserbo la figura del cardinale Tettamanzi segnalando la sintesi di scenario del mondo cattolico milanese (che tuttavia realisticamente Marco Garzonio, nell’editoriale sul Corriere Milano, continua a vedere equamente diviso tra le due parti). Dice l’arcivescovo: il cambiamento è ora necessario ed è auspicabile la rinascita della città.
Se insomma si può considerare Milano esperienza-laboratorio non solo per le conseguenze sulla politica nazionale ma anche per il problema di cosa sono oggi – al fondo – “destra” e “sinistra” (poco accettabile essendo ormai l’invito di Massimo Cacciari a considerare pari l’involuzione, pari lo smarrimento, pari la perdita di valorialità; argomento che ha avuto un banco di prova nella costituzione del Terzo Polo ma che a Milano dopo pochi mesi permette realistici giudizi di fragilità al centro e di rigenerazione a sinistra) si capisce l’entusiasmo di alcuni ambienti di cultura politica (università, associazioni, professioni, eccetera) a pensare ad un ritorno in auge di quella che fu la Milano del “Circolo Turati”. Si muterà tutto ciò che la storia chiede di mutare, ma lo spirito e la tensione che si leggono negli eventi non vanno sottovalutati.
Alla fine di una minoritaria (e sconfitta ancor prima di andare al voto) esperienza di campagna elettorale alle ultime regionali (come capolista indipendente con i radicali), ma dopo un mese di serrata analisi critica del sistema di potere politico-istituzionale al nord e a Milano, scrissi su Mondoperaio un articolo che avevo intitolato “Ora la riscossa borghese”. Gigi Covatta lo pubblicò col titolo più sfumato (pur sempre in una testata che continua a chiamarsi “Mondoperaio”) Classe generale cercasi (n.3/2010). Al fondo l’idea di riscossa era legata, più modernamente di quanto non sembri, al rapporto tra patria e etica pubblica. Capacità di guardare agli interessi generali e ritorno alla sobrietà nella politica e nella gestione. Per l’Italia un auspicio, per Milano una necessità. 
Il successo di Habemus Papam di Nanni Moretti (anche se per me un film in parte irrisolto) sta soprattutto nella grande metafora dell’insopportabilità dell’ostentazione del potere. Nella campagna elettorale di Milano tra gli apparati ministeriali e municipali di macchine blu, scorte, elicotteri, ville e case di Batman – tutto insieme a ben altro – lo straordinario bisogno di normalità, di biciclette, di famiglie come le altre, di foto in mezzo ai libri e non in mezzo ai soldi, è stato finora una bandiera di una borghesia (anche se si dovrebbe dire di una parte di borghesia) che su questo è tornata a dire la sua anche ai ceti medi accecati dalla mitologia – tutta televisiva e propagandistica – del successo a portata di mano da contrapporre alla sinistra piagnona e guastafeste.
In questi ultimi tempi una parte dello schieramento politico della destra ha cercato di cavalcare ancora la bandiera della responsabilità, rispetto al propagandismo del “facci sognare”. L’occasione del referendum Fiat ha fatto dire che – nella crisi economica e tra gli irrisolti di sistema – era meglio la destra per evitare demagogia. Alcuni socialisti che hanno scelto la destra – e in particolare lo scudo di Berlusconi - hanno tentato questo indirizzo. La partita di Milano segna la loro sconfitta, perché al loro modo di ragionare (che avrebbe anche potuto portare a un confronto tra liberali e progressisti all’europea) è stato preferito tutto ciò che discende dalla difesa a oltranza compiuta nella guerra del Bunga-Bunga. La sola Stefania Craxi – vedendo la solitudine e la denigrazione internazionale dell’immagine dell’Italia – ha dato un segnale coraggioso. Poi l’ordine di scuderia – con le elezioni in vista – è stato di militarizzare la comunicazione. A Milano si è scelto anche di fascistizzarla. Troppo, per il cuore “moderato” di Milano. Carlo Tognoli, alla finestra da un pezzo, pochi giorni fa è stato lapidario e chiaro: "Sono convinto che certi toni e un certo involgarimento abbiano indotto una parte degli elettori a spostarsi dal centro-destra al centro-sinistra. Pisapia è rimasto tranquillo, non ha nemmeno troppo parlato di politica, è rimasto sui problemi della città. E la gente lo ha premiato perché lo stile violento non è nelle corde di Milano. Milano è sempre stata moderata. La sinistra, qui, era riformista, non massimalista. E la destra erano i liberali di Malagodi. Oggi Milano ha ribadito la sua vocazione alla moderazione e ha dato un segnale a tutto il Paese".
E così mentre il centrosinistra milanese si riarticola, non lascia egemonie difficili (per la sua storia riformista) al solo PD, allarga alleanze sociali e politiche convergendo con ambienti che sono critici con la partitocrazia e cerca di rispondere alla chiamata di responsabilità con classe dirigente adeguata (qui si aprirà la vera partita a breve), il centro-destra chiama “responsabili” ciò che per tutti i soggetti che abbiamo fin qui evocato sono i protagonisti dell’irresponsabilità nazionale. L’economista Luciano Pilotti ha chiamato il primo fronte quello “dell’equilibrio tra rispetto e equità”, l’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida ha chiamato il secondo fronte quello “dell’unico vero estremismo in campo con un Sindaco uscente prigioniera dell’ideologismo leghista”.
Come è noto – salvo stravolgimenti e cause di immensa incidenza – ai ballottaggi non si sovverte l’immagine e il posizionamento maturato nel più lungo confronto del primo turno. Così che – a quattro giorni dal voto – nel giudizio degli ambienti più responsabili della città un fronte ritrova il riavvicinamento di molti ambienti indotti ad avere fiducia perché non c’è comunità moderna che non abbia bisogno di governo. Mentre l’altro fronte viene congedato e invitato al suo purgatorio. Pena fatale e indispensabile alla natura della democrazia stessa. Con l’auspicio che il tempo di rimeditazione riconsegni un soggetto rinnovato, riqualificato e responsabile anche a destra nel prossimo confronto elettorale.  
STEFANO ROLANDO

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