Non di rado soprattutto gli anziani notano la tendenza odierna a una vita pubblica e privata spenta, senza slanci, con scarsa risonanza emotiva. Una sorta di elettroencefalogramma quasi piatto. Non a caso, forse, pullulano gli studi neuropsicologici sulla cosiddetta alessitimia: l’incapacità a riconoscere e a cogliere le emozioni, e magari la difficoltà persino a concepirle. Mentre proprio esse dovrebbero rappresentare il motore dell’esistenza, ciò che muove le acque impedendone la putrefazione.
Ponendo ascolto alle ultime vicende della cronaca e della politica, però, emerge forse un altro aspetto del fenomeno: il prevalere delle passioni tristi. E l’attuale fase socioeconomica indiscutibilmente le accentua. La commozione per la morte di un ragazzo che lavorava all’allestimento di un palco per un concerto oppure il dilemma dei dirigenti dem sulla partecipazione alle manifestazioni sindacali sono a loro modo esempi di passioni tristi. Non mancano pathos e coinvolgimento; fa difetto piuttosto la prospettiva. E così le discussioni intorno ai provvedimenti del governo Monti dividono l’opinione pubblica, ma sono circondate da un alone di tristezza.
Persino le storie più intime e personali – dalla vicenda di Lucio Magri ai travagli e agli amori delle persone “comuni” – paiono immerse in un’atmosfera triste. Passionale, a volte, però triste.
A giorni ci scambieremo gli auguri e probabilmente invocheremo spesso la speranza. La quale, tuttavia, a dar retta al filosofo Spinoza, rappresenta a sua volta una passione triste.
DANILO DI MATTEOTratto da IL RIFORMISTA del 17 dicembre 2011
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