E' morto nella notte, all'Ospedale Gemelli di Roma per le complicazioni di una lunga malattia Enrico Manca, giornalista, politico ed ex presidente della Rai. Aveva 79 anni. Laureato in giurisprudenza aveva iniziato al giornale radio Rai per poi aderire al Psi, di cui fu deputato dal 1972 al 1994. Fu ministro nei governi Cossiga e Forlani.
Attualmente era presidente dell'Isimm (Istituto per lo Studio dell’Innovazione Media, Economia, Società e Istituzioni) e della Fondazione Bordoni.
"Esprimo la costernazione e il cordoglio mio personale e di tutti i socialisti per la scomparsa di Enrico Manca che è stato esponente di primo piano e protagonista del Psi negli anni in cui il partito imboccò la difficile e coraggiosa strada del rinnovamento". Così il segretario nazionale del Psi Riccardo Nencini, dopo avere appreso la notizia, in un messaggio inviato alla famiglia dello scomparso.
"Enrico Manca, negli anni della profonda trasformazione dell'Italia, ha saputo intepretare e governare come pochi altri il cambiamento in atto, come uomo di governo e soprattutto come presidente della Rai che seppe orientare verso una radicale modernizzazione, rendendola un'azienda all'avanguardia nello scenario radiotelevisivo europeo e mondiale.
Lo ricordiamo con affetto e con rimpianto".
Attualmente era presidente dell'Isimm (Istituto per lo Studio dell’Innovazione Media, Economia, Società e Istituzioni) e della Fondazione Bordoni.
"Esprimo la costernazione e il cordoglio mio personale e di tutti i socialisti per la scomparsa di Enrico Manca che è stato esponente di primo piano e protagonista del Psi negli anni in cui il partito imboccò la difficile e coraggiosa strada del rinnovamento". Così il segretario nazionale del Psi Riccardo Nencini, dopo avere appreso la notizia, in un messaggio inviato alla famiglia dello scomparso.
"Enrico Manca, negli anni della profonda trasformazione dell'Italia, ha saputo intepretare e governare come pochi altri il cambiamento in atto, come uomo di governo e soprattutto come presidente della Rai che seppe orientare verso una radicale modernizzazione, rendendola un'azienda all'avanguardia nello scenario radiotelevisivo europeo e mondiale.
Lo ricordiamo con affetto e con rimpianto".
Presto da sempre attenzione alla televisione e al mondo dei media, con i loro linguaggi, la loro grammatica, i loro codici e, per certi versi, la loro "poetica". E da decenni considero Enrico Manca uno dei pochi a comprendere davvero quella sintassi (chi non ha in mente la definizione di "Domenica in" come programma nazional-popolare che suscitò le ire di Pippo Baudo?).
RispondiEliminaOra però prevale in me il ricordo di Manca come protagonista della vicenda socialista. Ricordo che affido a una mia nota del 2002, pubblicata allora sul sito di Libertà Eguale Toscana.
Socialisti o riformisti?
È noto che da noi si parla di sinistra e di riformismo/i ma non di socialisti né di socialismo (salvo i riferimenti al Pse). Ecco il senso della lettera di Enrico Manca apparsa su “il Riformista” del 2 novembre scorso.
È da dire che Manca, pur avendo guidato con Imposimato l’area dello Sdi che con più decisione si batteva per l’affermazione in Italia di un forte partito del socialismo europeo a vocazione maggioritaria, si è poi convinto dell’esigenza di dar vita a un soggetto politico democratico, espressione dell’incontro di culture e istanze diverse.
Nella lettera al quotidiano, però, l’ex Presidente della Rai dice che chiamarlo “il Socialista” anziché “il Riformista” sarebbe stato un atto coraggioso, a suo modo provocatorio, e avrebbe reso giustizia al principale filone del riformismo, quello socialista.
Anche perché riformista è parola non malata, come afferma Cofferati, ma di certo inflazionata, polisema e un po’ ambigua. Antonio Polito comprende le ragioni di Manca, sa che il nuovo giornale è divenuto un punto di riferimento per molti socialisti della “diaspora”, ammette che il partito di Craxi colse tante istanze di modernizzazione, ma guarda oltre. Ricorda che la sinistra anglosassone dice: “Old style socialism”, venendo visto spesso il socialismo come “sinonimo di collettivismo e di rifiuto del mercato”. Da qui anche le proposte di cambiare il nome dell’Internazionale socialista.
Di certo si sono concluse una vecchia stagione del socialismo e una vecchia fase del riformismo. Né basta invocare l’unione dei riformismi socialista, liberale e democratico-cristiano. Abbiamo dinanzi delle sfide così grandi da rendere superato il nostro consueto eurocentrismo e inadeguato il riformismo in spazi ormai angusti come gli Stati-nazione. Non penso, però, che, come sostiene Paolo Favilli, il riformismo sia ormai solo una “lusinga nell’ipertrofia della politica-linguaggio”, un semplice guscio vuoto. Occorre, invece, delineare i metodi e i contenuti del riformismo del nuovo decennio e del nuovo secolo.
Danilo Di Matteo