mercoledì 23 maggio 2012

GRAMSCI E TURATI


Rimango allibito dall’analisi che sull’ultimo numero di “Mondoperaio” fanno di Gramsci due seri studiosi come Marco Gervasoni e Nico Berti. La loro unica attenuante è di essere storici e non filosofi, di non avere perciò una mentalità speculativa e dialettica (anche se mi chiedo se, in fondo in fondo, senza di essa si possa fare vera storia). Credo che, quando il mio Maestro Croce (lo dico perché non vorrei essere accusato di essere un marxista: sono un liberale) definiva “uno dei nostri” Gramsci, si riferisse anche a questo aspetto. Gervasoni osserva, ad un certo punto, che “il dibattito è deprimente perché, occorre sconsolatamente notare, Gramsci è ancora ricoperto da una grande cappa di conformismo, tanto che chiunque prov a scalfirla viene coperto da ingiurie più che da argomentazioni”. Sono d’accordo. E aggiungo: è  l’asfittico conformismo di sinistra dei professorini di liceo o degli accademici opportunisti; in genere della midcult. Detto questo, o anzi proprio per questo, non siamo autorizzati a creare nuovi conformismi . Il conformismo “di sinistra” è aberrante, ma lo è anche uno “di destra” o “di centro”. Ecco allora che, proprio perché  il problema è di preservare il valore più caro, l’autonomia della cultura, cioè lo spazio libero di una riflessione non immediatamente politica, e di preservare questo valore anche contro chi (come Gramsci) non vi credeva, dobbiamo avere la forza di affermare una sacrosanta “verità”: Gramsci e Turati, checché ne dicano il mio amico Orsini (autore di un libro semplicemente assurdo) o il non stimabile (per vari motivi) Saviano, non sono paragonabili. E’ indubbio infatti che politicamente dobbiamo essere completamente dalla parte del riformista Turati perché la costruzione teorica di Gramsci approdava ad una concezione illiberale del potere, ma è pur vero che non tutto si riduce a politica e Gramsci, oltre che un leader politico, è stato un grande e geniale pensatore, che ha dato degli elementi di riflessione e degli spunti di analisi imprescindibili per tutti coloro che vogliono pensare seriamente (cioè con rigore e profondità). Da una parte abbiamo un politico lungimirante, dall’altra un genio del pensiero. Come geni del pensiero erano anche Croce e pure Gentile. Qui la politica non c’entra nulla. Se il liberalismo, a cui credo, deve consistere in un depotenziamento della forza invasiva della politica, a maggior ragione questa attività di sottrazione deve avvenire in ambito culturale.
CORRADO OCONE

11 commenti:

  1. Sarà perché non ho una “mentalità speculativa” o forse perché non ho avuto Croce come maestro, ma non capisco il senso dell’obiezione di Ocone al mio articolo (Berti e Orsini risponderanno, se vorranno, per loro). Non ho certo scritto che intendo contrapporre al “conformismo di sinistra” un altro conformismo, “di centro o di destra” - anzi quando mi riferivo al conformismo attorno Gramsci non intendevo solo quello di sinistra, ma di tutta la cultura italiana, che ha sempre teso a santificarlo. Non ho paragonato Gramsci e Turati, come fa Orsini nel suo libro tutt'altro che “assurdo” (come lo definisce Ocone), anzi assai serio e fondato; anche se non vedo perché non possano essere tra loro paragonabili, come se si stesse parlando, putacaso, di Tommaso d’Aquino e di Umberto Eco. Entrambi, dico Turati e Gramsci, hanno militato fino a un certo periodo nello stesso partito, il Psi ed entrambi sono stati dirigenti e teorici del movimento operaio italiano. Quindi il confronto tra quanto ha detto e fatto l’uno e quanto ha detto e fatto l’altro è del tutto legittimo, essendo il contesto il medesimo. Quando ho scritto che Gramsci non può appartenere a una cultura politica socialista liberale (a cui invece appartiene Turati) mi sembrava di dire cosa ovvia: se Ocone ritiene che i Quaderni offrano elementi di socialismo liberale, dovrebbe dimostrarlo. Non mi sono ovviamente sognato, come si potrebbe evincere da quanto scrive Ocone, di ritenere Gramsci un cretino. Ma scrivere, come fa Ocone, che Gramsci è un “genio”, non spiega nulla. Anche Carl Schmitt è un “genio”, che qualsiasi studioso dovrebbe leggere per capire la politica contemporanea: ma nessuno si sognerebbe di dire che è un liberale, e men che meno un socialista liberale (semmai un socialista nazionale). Insomma si può essere “geni” e non liberali, anzi addirittura anti-liberali, e totalitari, appunto come Gramsci, Schmitt e il Gentile citato da Ocone. D’accordo con il “depotenziamento della forza invasiva della politica” - un ‘ipotesi agli occhi di Gramsci aberrante - ma Gramsci non era né un poeta né un critico letterario. Era un dirigente politico e un teorico della politica. E su questo va valutato.

    Marco Gervasoni

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  2. Poiché non sono né uno storico né un filosofo, spero di non essere considerato un intruso in questa discussione. Da ex giovane socialista degli anni Settanta mi è capitato spesso di litigare con i militanti del PCI discutendo su Gramsci. A distanza di molti anni, credo che su Gramsci si possa dare un giudizio più meditato, lontano dalla cappa di conformismo che lo ha avvolto per troppi anni. Se vogliamo dare un giudizio politico, come è stato ricordato, dobbiamo dare ragione al riformista Turati e non a Gramsci. Se vogliamo invece considerare Gramsci solo come un intellettuale italiano del Novecento, chi considera Gramsci un "genio" dovrebbe esplicitare i motivi che portano a questo giudizio. Non ho dubbi sulla grande rilevanza della figura di Gramsci, però molti dei concetti gramsciani mi sembrano contestabili. In Gramsci la parola "democrazia" non ha nulla a che fare dal concetto liberaldemocratico di democrazia. Molto discutibili anche altri concetti, come il partito considerato come il "moderno principe", l'idea dell'intellettuale "organico", lo stesso concetto di egemonia, che non ha nulla a che fare con il pluralismo. Anche le riflessioni gramsciane sugli Stati Uniti, pur certo più utili di quelle di altri teorici marxisti, mi sembrano molto fragili. Come ha scritto Aurelio Lepre, Gramsci sottovalutò le potenzialità economiche del fordismo. Ne intuì l'importanza, ma non riuscì a tradurre questa intuizione in analisi. Gli sfuggiva il rapporto tra alti salari (per Gramsci un aspetto temporaneo) e l'allargamento del mercato, reso possibile proprio dalla trasformazione dell'operaio-produttore nell'operaio-consumatore.
    Gramsci è stato uno dei grandi intellettuali italiani del Novecento, ma certo non un "genio", e i tratti principali del suo pensiero devono essere sottoposti a una critica anche aspra, senza per questo essere accusati di "lesa maestà".
    Andrea Ruini

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    1. Neppure io sono un filosofo nè uno storico. Però ricordo una citazione di Gramsci sul frontespizio del libro di antologia delle medie: "La cultura non è un insieme di date e di dati", bensì, in fondo, presa di coscienza. Ecco: al di là dell'idea dell'intellettuale organico e di altra roba del genere, la concezione gramsciana della cultura, in senso lato, pur nell'epoca del quiz televisivo, resta attuale. E lo stesso discorso sull'egemonia, così articolato e complesso, non fu, a parer mio, la meccanica traduzione della "dittatura del proletariato". E che dire della nozione di "blocco sociale"?
      Concordo con Corrado Ocone: di un pensatore occorre considerare l'insieme degli spunti e degli stimoli che offre e delle domande che suscita.

      Danilo Di Matteo

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  3. A Ruini. Nessuna "lesa maestà" di Gramsci. Ripeto: la politica non c'entra nel mio discorso. Basta a pensare sempre e tutto "politicamente". Se qualcuno avesse preso di mira Gentile (un altro "genio"), lo avrei criticato lo stesso
    Corrado Ocone

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  4. Quando si affronta un pensatore come Gramsci, che è stato anche il leader politico di un partito rivoluzionario in tempi di ferro, credo che bisogna distinguere in lui lo studioso della società dall’ideologo e dal polemista, sovente fazioso ed ingiusto con i suoi avversari politici. Credo che lo stesso discorso vada fatto, su un altro versante politico, per un grande sociologo della politica come Vilfredo Pareto, che non era, al contrario di Gramsci, un leader politico, ma che spesso contamina le sue analisi sociopolitiche con una polemica ideologica unilaterale, gravida di pregiudizi antidemocratici e che, proprio come Gramsci, non è alieno dall’usare un linguaggio insultante. Eppure nessuno può mettere in dubbio il valore scientifico della sua teoria delle élites, che resta, ancora oggi, in un contesto storico inevitabilmente diverso, una tappa fondamentale nello studio sulla circolazione delle classi dirigenti. La stessa cosa si può dire per Gramsci che, nei Quaderni del carcere, supera i limiti della sua ideologia leninista per indagare, con realismo e spregiudicatezza, la storia dei gruppi dirigenti italiani dall’unità al suo tempo e per comprendere i meccanismi sociologici e culturali attraverso cui si costruisce la cosiddetta egemonia, ossia il consenso attorno a una certa forma di governo. D’altra parte, prima dell’incontro col leninismo, la sua formazione era stata assai complessa: senza dimenticare Marx e Labriola, non solo Croce e Gentile, ma anche Pareto, Mosca e Michels e perfino il liberismo di Einaudi e Salvemini. Gramsci non fu mai un liberale, ma s’impegnò a fondo nello studio della società capitalistica e liberaldemocratica (si vedano anche le sue acute riflessioni su americanismo e fordismo), naturalmente per superarla in una prospettiva comunista. Probabilmente, se fosse vissuto più a lungo, sarebbe giunto a una critica radicale del mito sovietico rovesciatosi nello stalinismo. Turati, come dice Ocone, è una figura ben diversa di uomo politico lungimirante e il suo socialismo riformista ha tutta la mia simpatia ideologica e politica, ma egli non era un filosofo della politica e un teorico della società. Non dobbiamo dimenticare che Turati, al pari del liberale riformatore e pragmatico Giolitti, venne, nel primo quindicennio del Novecento e anche dopo, aspramente attaccato non solo dai socialisti rivoluzionari, ma da tutta la cultura italiana di impronta vociana. Il socialismo riformista è stato purtroppo, nel nostro paese, sempre minoritario. E anche lo studio senza pregiudizi di Gramsci aiuta a capirne i motivi e forse ad invertire una rovinosa tendenza storico-culturale.

    Paolo Bonetti

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  5. La domanda al centro di “Gramsci e Turati” è la seguente: Gramsci disprezzò profondissimamente Turati, per tutta la vita. Perché?
    Questa è la risposta suggerita da una copiosa documentazione: Gramsci credeva che la società fondata da Lenin fosse il modello di convivenza umana più alto mai raggiunto dall’uomo. Turati, al contrario, credeva che il comunismo bolscevico fosse un orrore.
    Gramsci venerava Lenin; Turati lo ripudiava.
    In questo è la radice dell’odio e del disprezzo di Gramsci e di Togliatti verso Turati.
    Nel 2012, sappiamo che il comunismo sovietico, per volontà di Lenin, si fondava sul terrore di Stato che portò al massacro di decine di milioni di uomini. Nel libro Stati assassini (Rubbettino), il politologo Rudolph J. Rummell ha calcolato che il PCUS è stato responsabile della morte di 62 milioni di persone, di cui 55 milioni erano cittadini sovietici.
    Che cosa sapeva Gramsci nell’epoca in cui viveva?
    Durante il lungo soggiorno in Russia, Gramsci conobbe il Terrore di Lenin e la GPU, da cui riceveva protezione, come scrive in una sua lettera. Nei suoi articoli, difese la soppressione della libertà di stampa e l’eliminazione dei menscevichi. Offendeva e insultava i riformisti che criticavano Lenin. Non si dimentichi che il 5 giugno 1920 scrisse che la rivoluzione comunista prevedeva la nascita di un tipo di Stato che avrebbe dovuto organizzare l’uccisione degli avversari politici.
    Il terrore bolscevico era stato raccontato minuziosamente nel libro Il terrore rosso in Russia 1918-1923 pubblicato nel 1923 dallo storico e giornalista Sergej P. Melgunov (1880-1956), esule menscevico, più volte arrestato dalla Čeka (Gramsci ammirava e lodava la Čeka) e sopravvissuto ai campi di concentramento. La prima edizione del libro di Melgunov apparve a Berlino in lingua russa. La prima traduzione in lingua inglese è del 1925, mentre le edizioni francese e spagnola furono stampate nel 1927. Gramsci scelse il Terrore di Stato, pur conoscendone gli orrori. Vedeva, sapeva, sceglieva.
    Una volta in carcere, Gramsci non scrisse mai una pagina per ripudiare ciò che Turati considerava un orribile mattatoio perché continuò a credere, per tutta la vita, che il comunismo sovietico fosse la migliore società mai edificata dall’uomo. L’idea che Gramsci abbia difeso i principi della tolleranza e del rispetto degli avversari politici è un gigantesco falso storico. Gramsci fu un comunista critico, ma non fu un critico del comunismo. Rimase sempre convinto che il totalitarismo sovietico fosse un tipo di società da ammirare, pur conoscendo il Terrore bolscevico.
    Turati ripudiò la dittatura bolscevica e a Gramsci non piacque. Quando Turati morì, Togliatti ricoprì di fango un uomo morto, per fargliela pagare, perché, nella cultura politica di Gramsci e di Togliatti, tutti coloro che parlavano male del bolscevismo erano “porci” e “stracci mestruati”. Anche Turati, ovviamente, era un porco, anche se Gramsci, nell’agosto 1924, preferì chiamarlo “semifascista”, piuttosto che porco, perché pensava di essere ancora più offensivo. Sotto il profilo filologico, “semifascita”, nell’agosto 1924, dopo l’omicidio Matteotti, era molto peggio di “porco”. Anche gli insulti hanno un’importanza storica e devono essere collocati nel giusto contesto.
    Ogni studioso, prima di scrivere un libro, deve definire il proprio oggetto di studio e delimitare l’ambito della ricerca. Il mio libro si occupa della pedagogia politica di Gramsci e di Turati. Trovo singolare che mi venga rimproverato di non avere analizzato l’influenza del pensiero di Croce su Gramsci. Andando avanti di questo passo, qualcuno arriverà ad accusarmi di non avere considerato la quantità di proteine che Gramsci assumeva durante i pasti, pur di evitare il confronto con la documentazione che ho raccolto. Non ho mai messo in discussione le qualità intellettuali di Gramsci come pensatore politico. Anche Lenin ne aveva, ma non era tollerante.
    La critica dell’amico Ocone è soltanto una delle tante reazioni emotive suscitate dalla documentazione contenuta nel mio libro.
    Alessandro Orsini

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    1. Credo che non si possa parlare della "pedagogia politica" di Gramsci con il metodo sociologico ed empirico dell'amico Orsini: Gramsci non si è posto su quel piano e significa banalizzarlo se noi lo ridciamo ad esso. Dietro Gramsci, come dietro Croce e Gentile, c'è il metodo dialettico, cioè tout court filosofico. Più interessante mi sembrerebbe capire erché la dialettica, che è il metodo dela libertà, sfocia in Gramsci e in Gentile, ma non in Croce, in costruzioni illiberali. Dire che Gramsci era violento e turati un brav'uomo, mi sembra un dire una cosa talmente ovvia da non meritare un ulteriore studio. Almeno che il fine del libro fosse pragmatico e non teorico.
      Corrado Ocone

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  6. Il metodo dialettico è "il metodo tout court filosofico" ? La dialettica è il "metodo della libertà" ? Penso che con queste definizioni ci si riferisca unicamente alla dialettica di Hegel (o di Marx). Perchè la dialettica trascendentale kantiana, ad esempio, è tutt'altra cosa. Se si accettano queste definizioni, i filosofi che non hanno una impostazione dialettica (Kant, Hume, Russell ecc.) non sarebbero veri filosofi, e il loro metodo non sarebbe quello della libertà. Ho capito bene ?

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    1. Si e no, Ruini. Alla fine ti darò una risposta articolata, come meriti. Per ora ti dico solo che noi crociani napoletani siamo una razza non facile, ma dopo 50 anni di "oscuramento" (ecco questa è l'egemonia comunista che Orsini dovrebbe studiare!), in cui, ad esempio, da cosmopolitri siamo stati considerati provinciali, poco alla volta stiamo riemergendo (si pensi al successo dell'Italian Theory). E i positivismi vecchi e nuovi, checché ne pensi Ferraris,sono forse in ritirata.
      Corrado Ocone

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  7. E' vero che Gramsci aveva, rispetto a Lenin, una concezione più ricca, più complessa e più articolata dell’egemonia, ma ciò non significa che il modello di Gramsci fosse pluralista e democratico. Il pluralismo, il pluripartitismo, l’avvicendarsi di maggioranza e minoranza, il governo parlamentare e tutto il resto, in Gramsci non ci sono. Il tema della “egemonia” non significa nulla di tutto questo. E meno che mai significa superamento o abbandono della “dittatura del proletariato” di Lenin. Il pensiero di Gramsci, in tutto in corso della sua vita, dall’Ordine Nuovo ai Quaderni dal carcere, si ispira al leninismo, perché consisteva in un tentativo di “tradurre” il leninismo nei paesi dell’Europa occidentale, in cui l’articolazione della società civile era molto più ricca e complessa che in Russia, e dove quindi la dittatura del proletariato, che è l’obiettivo di fondo sia per Gramsci che per Lenin, poteva quindi affermarsi solo con l’egemonia politico-culturale sulla società civile, e non soltanto con la forza e la coercizione. Il partito comunista, per esercitare, politicamente e non in modo terroristico, la dittatura, ha bisogno di conquistare una egemonia morale e intellettuale nella società. E’ lo stesso Gramsci a dire nei Quaderni che la teoria dell’egemonia è quella con cui Lenin aveva sviluppato un accenno di Marx al fatto che “gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie”. Il merito di Lenin, considerato da Gramsci il più grande teorico moderno del marxismo, era stato quello, “in opposizione alle diverse tendenze economicistiche”, di avere rivalutato il “fronte di lotta culturale”, costruendo appunto la dottrina dell’egemonia.
    Se Gramsci respinge la “dittatura senza egemonia”, questo non significa certo che egli sostenesse una “egemonia senza dittatura”. Gramsci, come Lenin, sostiene che il proletariato dovesse esercitare la dittatura, che era poi, per Gramsci come per Lenin, la dittatura del Partito. Gramsci, avendo in mente l’esperienza sovietica, legittima l’uso della forza: la forza è indispensabile per far nascere il nuovo, per “spezzare le resistenze” che incontra la costituzione di una nuova società. Il proletariato non aveva avuto “uno sviluppo culturale e morale proprio e indipendente”: era compito del Partito dargli questo sviluppo, e solo attraverso le strutture statali il Partito poteva esercitare la sua indispensabile funzione pedagogica. Il Partito è l’unico strumento in grado di esercitare l’egemonia sul piano pratico. Il problema del consenso e delle alleanze, che Gramsci avverte acutamente, non si prospetta nel suo pensiero come alleanza tra partiti distinti, ma come alleanza di forze sociali diverse sotto la guida del solo partito comunista. Gramsci non sa che farsene dello Stato liberaldemocratico e del governo parlamentare. Questo per lui è lo stato borghese da abbattere e da sostituire con la dittatura del proletariato.
    Sbaglia chi ha sostenuto che nei Quaderni Gramsci “pensa la democrazia”. In realtà “Gramsci pensò sempre e soltanto il comunismo, sia pure in una forma non staliniana, e fu sempre molto lontano dal concetto liberaldemocratico di democrazia” (Aurelio Lepre) Questa differenza “deve essere fortemente sottolineata, perché era essa a fare di lui un comunista”.
    Nella prospettiva di Gramsci un ruolo centrale è assegnato al partito unico della classe operaia, il partito comunista, definito come il “moderno principe”. Il partito comunista “prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”. Il partito comunista era così posto al centro della vita dell’uomo in tutti i suoi aspetti, e al partito era conferito un valore e un potere assoluti, perché si identificava con tutta la vita culturale e sociale, coprendo tutti gli spazi della società civile e non lasciando margini di autonomia.

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  8. Partito unico e sottomissione ad esso ,ovvero a pochi potenti che si dichiarano depositari della conoscenza,demonizzazione e distruzione anche fisica dell'avversario così come è capitato a Turati,sottomissione della persona e dello stesso proletariato perchè non deviassero verso una concezione liberale e progressista ,insomma un bel dire e fare in vista di un miraggio ;niente più che una ideozia. Scusate non si può parlare nè di politica nè di filosofia ,parliamo d'altro e togliamo il Gramsci ( non diversamente da Togliatti o da Labriola ) dalle insegne sulle strade e domandiamoci se quel metodo pedagogico violento ,ingiusto su tanti fronti( sic !) , così come veniva dallo stesso Gramsci definito ,non sia stato praticato e sia sempre rimasto impunito o addirittura consentito sino ad oggi o almeno da quando di comunismo non si dovrebbe parlare più dopo il Giudizio della Storia .Ma che cosa vogliamo giustificare delle parole inequivoche di uno o centomila idioti .

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