I partiti in Italia sono troppo deboli o troppo forti? Per
l’oggi non è difficile rispondere: evidente è la loro fragilità. In realtà,
però, anche ai tempi della prima Repubblica la loro invadenza tradiva una
debolezza di fondo. Debordavano dai compiti costituzionali e smarrivano senso e
obiettivi della loro azione, configurando così un assetto partitocratico, ma la
loro capacità di governare e orientare le scelte della comunità era alquanto
deficitaria. La cosiddetta partitocrazia senza partiti, perciò, affonda lì le
sue radici: rispetto ad esempio all’Spd e alla Cdu tedeschi i principali
soggetti politici italiani degli anni ’80 erano alquanto anemici, carichi di
ambiguità e contraddizioni e sovente in flessione elettorale.
Non a caso, poi, gli ambienti “illuminati” già allora invocavano
un governo di tecnici. Dagli anni ’90, naturalmente, il vuoto lasciato dai
grandi partiti rappresenta una sorta di voragine e i tentativi compiuti per
colmarlo paiono tutti inadeguati. Si tratta certo anche di processi comuni alle
altre democrazie occidentali, ma da noi il fenomeno assume tratti peculiari e
più marcati.
Nell’immaginario dei più, ad esempio, la figura del
funzionario o del dirigente di una forza politica viene associata non a una
scelta di vita, com’era un tempo, bensì, nell’ipotesi migliore, al grigiore
burocratico e parassitario. Da qui l’accusa mossa al presidente francese
Hollande di essere stato un uomo d’apparato.
Da qui, anche, il tentativo compiuto da diverse aree
politiche di “sedurre” personaggi come Luca Cordero di Montezemolo, quasi a
eludere ruoli e responsabilità. Ecco: a mo’ di provocazione, verrebbe da
scrivere un “elogio del funzionario”. Già: perché i partiti tedeschi, poniamo,
hanno i loro funzionari e i loro dirigenti, e riescono nel contempo a esprimere
leadership forti e autorevoli, alla guida di uno dei Paesi più solidi al mondo.
Beato quel popolo che non ha bisogno dei Montezemolo, verrebbe da aggiungere.
Insomma: con un paradosso solo apparente, potremmo dire che l’Italia
necessita di una presenza più autorevole dei partiti – di partiti veri, non di
fazioni e gruppuscoli di pressione – e nel contempo di meno partitocrazia.
Danilo Di Matteo
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