Le misure
adottate o proposte dal governo Monti per rilanciare la crescita dell’economia
italiana sono giudicate ispirate ad una ingiustificata ed eccessiva austerità; si
prevede infatti che l’effetto di tali misure sarà non il rilancio della
crescita, ma un ulteriore peggioramento dello stato depressivo del sistema
economico nazionale, per via del fatto che l’austerità varrà a comprimere i
diritti sociali acquisiti.
Si osserva che sarebbe più efficace, ed anche più
condivisa sul piano politico, l’adozione di provvedimenti volti a riformare la
struttura istituzionale dello Stato ed a potenziare i diritti sociali, i quali
servirebbero anche e rivitalizzare i diritti sia civili che politici.
Al
riguardo, si osserva anche che tra questi e i diritti sociali esiste un
rapporto di mutua implicazione, nel senso che la tutela dei primi non può
prescindere dalla tutela dei secondi e viceversa.
L’idea che il
potenziamento dei diritti sociali possa costituire la premessa della crescita
economica trae origine dalle teoria dello sviluppo dell’uomo di Amartya Sen.
Il
“motore della crescita”, secondo questa teoria, è rappresentato dalle capacità (capabilities)
di acquisire liberamente lo “star bene”.
Per questa ragione, Sen non condivide tutte quelle teorie che fanno della
libertà un diritto privo di valore intrinseco; egli infatti critica le
posizioni sul problema di John Rawls e Ronald Dworkin, in quanto questi ultimi si
soffermerebbero sui beni e sulle risorse che portano alla libertà piuttosto che
sull’estensione della libertà in sé stessa.
I “beni primari” di cui parla Rawls
e le “risorse” di cui parla Dworkin sono, secondo Sen, degli indicatori
imprecisi di ciò che un soggetto è realmente libero di fare e di essere.
La
conclusione a cui egli perviene è che lo sviluppo di una determinata comunità
storica dipende dalla decisione di garantire a tutti un’adeguata qualità
della vita, cioè un well-being generale non ristretto dal solo riferimento
a parametri economici.
Coloro che condividono fideisticamente questa
impostazione giungono perciò ad affermare che la crescita materiale sia
strettante legata allo sviluppo umano, inteso in termini di libertà (development
as freedom), ovvero di una vita che “fiorisce” in tutte le sue
potenzialità.
Nessuno vuole
discutere l’interesse e l’importanza della teoria di Sen; tuttavia, qualche
riflessione sull’origine e sulla natura dei diritti sociali serve forse a
ricondurre il discorso circa i provvedimenti che si devono assumere per
rilanciare la crescita del sistema economico su un terreno un poco più solido.
Un
ruolo importante nel processo di reciproca compenetrazione dei diritti civili e
politici, da un lato, e di quelli sociali, dall’altro, è stato svolto dal
particolare status sociale, noto col nome di cittadinanza. Tale status è servito a legare i singoli cittadini
all’intero gruppo sociale istituzionalmente organizzato ed a rendere gli stessi
cittadini istituzionalmente uguali. Lo status di cittadinanza è l’esito finale
della convergenza di due elementi essenziali: la cittadinanza come appartenenza
ad un determinato gruppo sociale, ma anche come status-contenitore di un
insieme tendenzialmente aperto di diritti, comprendente sia quelli civili e
politici, sia quelli sociali. I primi definiscono, in termini pre-politici,
rispettivamente, il diritto dei cittadini di partecipare liberamente al
funzionamento delle istituzioni civili (diritto di libertà di iniziativa, di
parola, di circolazione, ecc.) e il diritto di partecipare, sempre liberamente,
al funzionamento delle istituzioni politiche.
I diritti sociali, infine,
definiscono il diritto per tutti i cittadini di partecipare alla fruizione degli
standard di vita storicamente determinati su basi democratiche all’interno del sistema
sociale di appartenenza. Il processo di allargamento della cittadinanza ha
fatto da contrappunto al processo di democratizzazione dello Stato; tale
processo è stato caratterizzato dal superamento dell’assolutismo politico.
Le
fasi successive hanno scandito il consolidamento della cittadinanza con
l’avvento dello Stato di diritto informato ai principi del liberismo
garantista, prima, ed a quelli del liberismo welfarista, poi.
Questa evoluzione
avrebbe dovuto segnare l’avvento di un sistema sociale caratterizzato in
termini social-democratici.
Rispetto allo
Stato di diritto garantista, quello welfarista avrebbe dovuto consentire una
interpretazione più puntuale del concetto di cittadinanza; nel senso che a
differenza dello Stato di diritto garantista, che considera la cittadinanza
come presupposto della partecipazione dei cittadini al funzionamento delle
istituzioni civili e politiche, lo Stato di diritto welfarista avrebbe dovuto considerare
gli stessi diritti come esito del processo di partecipazione di tutti, su base
paritaria, al funzionamento delle istituzioni politiche e la stessa partecipazione
come dovere e non come diritto.
Come corollario ne sarebbe dovuto seguire che,
a differenza dello Stato di diritto garantista che considera prioritari i diritti
sui doveri, lo Stato di diritto welfarista avrebbe dovuto considerare
prioritari i doveri sui diritti, nel seno che ogni diritto avrebbe dovuto
essere definito in funzione del sistema dei doveri entro il quale avrebbe
dovuto essere definito.
Tutto ciò non
è avvenuto, per cui all’interno dello Stato di diritto social-democartico italiano
è stata realizzata solo una “democrazia zoppa” che ha consentito la formazione
ed il consolidamento di profonde disuguaglianze economiche e sociali.
E’ questa
una considerazione che sarebbe stato utile tenere presente, non solo nelle
formulazione delle riforme istituzionali da attuare; ma anche nello stabilire i
contenuti de provvedimenti da assumere per finanziare il rilancio della
crescita del sistema economico nazionale.
Le riforme istituzionali sarebbero
dovute risultare strumentali rispetto al coinvolgimento di tutti i cittadini nel
sopportare il “peso” dell’austerità. In assenza di tali riforme, i sacrifici
richiesti sono destinati a degradare in provvedimenti depressivi ed iniqui, in
quanto oltre a sacrificare i diritti sociali dei deboli, continueranno a
sacrificare i diritti civili e politici, perché non sorretti dalla necessaria
legittimazione politica riconducibile alla percezione di una maggior giustizia
sociale.
Gianfranco Sabattini