Stupirsi dinanzi alle cose; provare meraviglia per ciò che vediamo o ascoltiamo ogni giorno: da tale atteggiamento è nato il pensiero occidentale. E quando riusciamo a porci così, guardiamo il mondo “con occhi greci”, come ci ricorda il filosofo Enrico Berti. Ma non dovrebbe essere questo, oggi, lo “sguardo” dei riformisti?
Troppe volte associamo l’idea di riformismo al prosaico e al disincanto; a una riduzione dello slancio in nome della ponderazione e del senso della realtà. Roba da ragionieri, insomma. Voler riformare, invece, nasce da un’attitudine opposta: dalla capacità di lasciarsi interrogare da ciò che ci circonda, da una ricerca interminabile volta a comprendere e a cambiare, dalla fatica di Sisifo della conoscenza e del miglioramento della condizione umana. E anche dal gusto del dubbio, intrecciandosi in ciò con la laicità, intesa come libertà dai dogmi e dalle briglie del pregiudizio.
La meraviglia dei greci non voleva dire ammirazione, fascino per le bellezze del creato. Il loro era piuttosto uno sforzo che mirava al sapere; era desiderio e amore della conoscenza, prima di ogni implicazione pratica. Conoscenza del perché delle cose: un perché non inteso solo in termini di causa ed effetto. Era un’interrogazione su chi, come, con quale scopo. Domande non fini a se stesse, ma che spingevano a cercare risposte.
E dopo secoli di storia del pensiero, dopo la lezione del vecchio Marx, i riformisti potrebbero ricominciare proprio dalla meraviglia, per giungere a una comprensione nuova dei fenomeni e trarne, in più, idee-guida e indicazioni politiche. Insomma: non si tratta di calare i nostri schemi nel mondo, ma di lasciarci afferrare da esso per imparare a migliorarlo.
DANILO DI MATTEO
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