Sul primo
numero on-line di Reset (Giugno 2012), Pierre Rosanvallon
si chiede quale politica sia necessaria nel mondo contemporaneo per risolvere
il problema dell’”estrema ineguaglianza”. Secondo lo storico francese, nel
mondo contemporaneo è dato osservare come l’approfondimento delle
disuguaglianze tragga origine dai forti incrementi dei “salari più alti”, in
netto contrasto con il declino delle disparità sociali precedentemente sperimentato.
Rosanvallon osserva anche come l’innalzamento dei salari alti e l’aggravarsi
delle disparità facciano seguito ad un lungo periodo di riduzione dei salari
medio-bassi e ad un aumento della disparità nella distribuzione della ricchezza
accumulata.
Il sistema
distributivo segna pertanto una frattura rispetto al passato, nel seno di un
ritorno alle condizioni distributive proprie del Diciannovesimo secolo, con
impatto negativo sulla democrazia formale e su quella sostanziale. Se questo
trend non sarà contrastato, gli equilibri sociali ereditati potrebbero essere
esposti a sicure minacce, aggravate dall’emergere e dal diffondersi di
movimento populisti di ogni tendenza.
Per capire
l’”attuale grande inversione di tendenza”, occorre partire, per Rosanvallon,
dalla “grande trasformazione” che l’ha preceduta. La grande trasformazione di
polanyiana memoria, avvenuta con l’istituzionalizzazione del principio della
cittadinanza politica, è stata resa possibile grazie allo sviluppo sul finire
del XIX secolo del movimento dei lavoratori e dalla sua traduzione in voti
socialisti, fabiani e repubblicani solidaristici. Dopo il 1918, i fattori
politici e sociali emersi nei decenni immediatamente precedenti hanno
contribuito ad accelerare il processo riformistico per l’estensione e
l’approfondimento di sempre più eque condizioni distributive.
In tal modo, lo
sviluppo delle istituzioni ridistributive (Welfare State) è stato possibile
consolidarlo con il crescente riconoscimento, sia della natura sociale delle
disuguaglianze, sia della maggiore rilevanza assunta dalla parità dei singoli
individui in termini di condizione sociale piuttosto che in termini delle loro
differenze soggettive ed oggettive.
Oggi, nelle
società post-fordiste, i fattori politici e storici che hanno reso possibile la
grande trasformazione originaria si sono progressivamente affievoliti. In primo
luogo, perché il capitalismo ha cambiato il suo rapporto soprattutto con il
mercato del lavoro e, in secondo luogo, perché ha cambiato le modalità
organizzative della produzione. Il venir meno dei vecchi fattori ha determinato
(e sta determinando) una “contro-trasformazione” con il passaggio del sistema
sociale da un “individualismo dell’universalità”, esprimente per ogni individuo
“il diritto di esercitare la stessa parte di sovranità di qualsiasi altro”, ad
un ”individualismo della singolarità, ”esprimente per ogni individuo
l’aspirazione ad apparire e ad essere considerato “importante ed unico agli
occhi degli altri”.
Fatto questo che costituisce causa della crescita continua
degli alti salari e del contemporaneo peggioramento delle ineguaglianze in
termini di reddito e di ricchezza.
Come
conseguenza dell’inversione di tendenza appena descritta, il concetto di
uguaglianza sta ora attraversando, per Rosanvallon, una crisi profonda.
E il
modo di uscirne non sta, né nel recupero di un nazionalismo obsoleto,
aggressivo e protezionista, né nel recupero dei valori ed istituzioni che hanno
concorso alla realizzazione delle antiche democrazie sociali; sta invece nella
in una ridefinizione dell’uguaglianza che racchiuda in sé il ritorno agli ideali della Rivoluzione
francese, articolato nei concetti di “similarità, indipendenza e
cittadinanza”.
Nel senso che, la similarità dovrebbe esprimere per tutti gli
individui l’uguaglianza come equivalenza sul piano delle relazioni
intersoggettive; l’indipendenza dovrebbe esprimere l’uguaglianza come autonomia
e assenza di rapporti di subordinazione; la cittadinanza, infine, dovrebbe
esprimere l’uguaglianza come paritaria partecipazione ai processi decisionali
collettivi.
Gli ideali
della Rivoluzione francese, per Rosanvillon, sono stati logorati dalla
Rivoluzione industriale, in quanto lentamente quest’ultima avrebbe destituito
di ogni legittimazione sociale il principio di uguaglianza.
Per superare questa
situazione di grave empasse bisognerebbe tornare allo spirito originario
dell’uguaglianza, in una forma però adattata all’epoca attuale; ciò, al fine di
ricuperare la necessaria legittimazione alle politiche di ridistribuzione richieste
dalla soluzione della “Nuova Questione Sociale”. La soluzione non riguarderebbe
più la povertà e l’esclusione, ma il “ricupero di un contesto comune per
l’insieme della società”.
Rosanvillon
non dice come ricuperare lo spirito originario dell’uguaglianza, né indica
quali rimedi sarebbero necessari per evitare che la dinamica del processo
industriale possa in futuro causarne di nuovo lo smarrimento.
La Rivoluzione
industriale ha potuto “tradire” lo spirito della Rivoluzione francese, in
quanto la struttura istituzionale, realizzata sulla base di quello spirito,
all’interno della quale la stessa Rivoluzione industriale ha potuto prendere
corpo, si è limitata a garantire la tutela costituzionale per i soli principi
di libertà e di uguaglianza e non anche del principio di fraternità (o di solidarietà).
Ciò ha comportato, come sostiene il repubblicanesimo solidaristico moderno, una
“zoppia della democrazia” che ha consentito alla Rivoluzione industriale di
logorare lo spirito della grande Rivoluzione borghese. Per tornare ai valori
originari di questa, perciò, non basta invocare, come fa Rosanvillon, la
necessità che questi valori costituiscano la base legittimante delle nuove
politiche di ridistribuzione. Occorre che questi valori ricevano tutti la
stessa tutela costituzionale, tale da includere i principi di libertà e di
uguaglianza, ma anche il principio di fratellanza o di solidarietà.
In tal
modo, lo spirito originario della Rivoluzione francese potrà essere
efficacemente adattato all’epoca attuale, attraverso un’attività riformistica utile
ad impedire che il funzionamento del sistema economico possa produrre disparità
sociali tali da risultare ingiustificabili non solo dal punto di vista etico,
ma anche da quello di uno stabile funzionamento del processo produttivo. Attraverso
un’attività riformistica, cioè, che ponga un limite alla concentrazione della
ricchezza accumulata e stabilisca i limiti massimo e minimo entro i quali
devono esser conservate le differenze di reddito.
Gianfranco Sabattini
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