mercoledì 4 luglio 2012

Quale politica per la “Nuova Questione Sociale”?


Sul primo numero on-line di Reset (Giugno 2012), Pierre Rosanvallon si chiede quale politica sia necessaria nel mondo contemporaneo per risolvere il problema dell’”estrema ineguaglianza”. Secondo lo storico francese, nel mondo contemporaneo è dato osservare come l’approfondimento delle disuguaglianze tragga origine dai forti incrementi dei “salari più alti”, in netto contrasto con il declino delle disparità sociali precedentemente sperimentato. 
Rosanvallon osserva anche come l’innalzamento dei salari alti e l’aggravarsi delle disparità facciano seguito ad un lungo periodo di riduzione dei salari medio-bassi e ad un aumento della disparità nella distribuzione della ricchezza accumulata.
Il sistema distributivo segna pertanto una frattura rispetto al passato, nel seno di un ritorno alle condizioni distributive proprie del Diciannovesimo secolo, con impatto negativo sulla democrazia formale e su quella sostanziale. Se questo trend non sarà contrastato, gli equilibri sociali ereditati potrebbero essere esposti a sicure minacce, aggravate dall’emergere e dal diffondersi di movimento populisti di ogni tendenza.
Per capire l’”attuale grande inversione di tendenza”, occorre partire, per Rosanvallon, dalla “grande trasformazione” che l’ha preceduta. La grande trasformazione di polanyiana memoria, avvenuta con l’istituzionalizzazione del principio della cittadinanza politica, è stata resa possibile grazie allo sviluppo sul finire del XIX secolo del movimento dei lavoratori e dalla sua traduzione in voti socialisti, fabiani e repubblicani solidaristici. Dopo il 1918, i fattori politici e sociali emersi nei decenni immediatamente precedenti hanno contribuito ad accelerare il processo riformistico per l’estensione e l’approfondimento di sempre più eque condizioni distributive. 
In tal modo, lo sviluppo delle istituzioni ridistributive (Welfare State) è stato possibile consolidarlo con il crescente riconoscimento, sia della natura sociale delle disuguaglianze, sia della maggiore rilevanza assunta dalla parità dei singoli individui in termini di condizione sociale piuttosto che in termini delle loro differenze soggettive ed oggettive.
Oggi, nelle società post-fordiste, i fattori politici e storici che hanno reso possibile la grande trasformazione originaria si sono progressivamente affievoliti. In primo luogo, perché il capitalismo ha cambiato il suo rapporto soprattutto con il mercato del lavoro e, in secondo luogo, perché ha cambiato le modalità organizzative della produzione. Il venir meno dei vecchi fattori ha determinato (e sta determinando) una “contro-trasformazione” con il passaggio del sistema sociale da un “individualismo dell’universalità”, esprimente per ogni individuo “il diritto di esercitare la stessa parte di sovranità di qualsiasi altro”, ad un ”individualismo della singolarità, ”esprimente per ogni individuo l’aspirazione ad apparire e ad essere considerato “importante ed unico agli occhi degli altri”. 
Fatto questo che costituisce causa della crescita continua degli alti salari e del contemporaneo peggioramento delle ineguaglianze in termini di reddito e di ricchezza.
Come conseguenza dell’inversione di tendenza appena descritta, il concetto di uguaglianza sta ora attraversando, per Rosanvallon, una crisi profonda. 
E il modo di uscirne non sta, né nel recupero di un nazionalismo obsoleto, aggressivo e protezionista, né nel recupero dei valori ed istituzioni che hanno concorso alla realizzazione delle antiche democrazie sociali; sta invece nella in una ridefinizione dell’uguaglianza che racchiuda in sé il ritorno agli ideali della Rivoluzione francese, articolato nei concetti di “similarità, indipendenza e cittadinanza”. 
Nel senso che, la similarità dovrebbe esprimere per tutti gli individui l’uguaglianza come equivalenza sul piano delle relazioni intersoggettive; l’indipendenza dovrebbe esprimere l’uguaglianza come autonomia e assenza di rapporti di subordinazione; la cittadinanza, infine, dovrebbe esprimere l’uguaglianza come paritaria partecipazione ai processi decisionali collettivi.
Gli ideali della Rivoluzione francese, per Rosanvillon, sono stati logorati dalla Rivoluzione industriale, in quanto lentamente quest’ultima avrebbe destituito di ogni legittimazione sociale il principio di uguaglianza. 
Per superare questa situazione di grave empasse bisognerebbe tornare allo spirito originario dell’uguaglianza, in una forma però adattata all’epoca attuale; ciò, al fine di ricuperare la necessaria legittimazione alle politiche di ridistribuzione richieste dalla soluzione della “Nuova Questione Sociale”. La soluzione non riguarderebbe più la povertà e l’esclusione, ma il “ricupero di un contesto comune per l’insieme della società”.
Rosanvillon non dice come ricuperare lo spirito originario dell’uguaglianza, né indica quali rimedi sarebbero necessari per evitare che la dinamica del processo industriale possa in futuro causarne di nuovo lo smarrimento. 
La Rivoluzione industriale ha potuto “tradire” lo spirito della Rivoluzione francese, in quanto la struttura istituzionale, realizzata sulla base di quello spirito, all’interno della quale la stessa Rivoluzione industriale ha potuto prendere corpo, si è limitata a garantire la tutela costituzionale per i soli principi di libertà e di uguaglianza e non anche del principio di fraternità (o di solidarietà). Ciò ha comportato, come sostiene il repubblicanesimo solidaristico moderno, una “zoppia della democrazia” che ha consentito alla Rivoluzione industriale di logorare lo spirito della grande Rivoluzione borghese. Per tornare ai valori originari di questa, perciò, non basta invocare, come fa Rosanvillon, la necessità che questi valori costituiscano la base legittimante delle nuove politiche di ridistribuzione. Occorre che questi valori ricevano tutti la stessa tutela costituzionale, tale da includere i principi di libertà e di uguaglianza, ma anche il principio di fratellanza o di solidarietà. 
In tal modo, lo spirito originario della Rivoluzione francese potrà essere efficacemente adattato all’epoca attuale, attraverso un’attività riformistica utile ad impedire che il funzionamento del sistema economico possa produrre disparità sociali tali da risultare ingiustificabili non solo dal punto di vista etico, ma anche da quello di uno stabile funzionamento del processo produttivo. Attraverso un’attività riformistica, cioè, che ponga un limite alla concentrazione della ricchezza accumulata e stabilisca i limiti massimo e minimo entro i quali devono esser conservate le differenze di reddito.
Gianfranco Sabattini




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